A partire dal 2016 (dichiarazioni trasmesse nel 2017), viene meno il raddoppio
La L. 208/2015 , da un lato elimina il raddoppio dei termini per violazioni penali, tuttavia , nel contempo, prevede maggiori termini ordinari di decadenza per l’accertamento (cinque anni e non più quattro per la dichiarazione presentata, sette anni e non più cinque per la omessa).
Recentemente la Cassazione ( sentenza n. 9974 del 2015) ha sancito che il raddoppio presuppone non la commissione del reato, ma la presenza dei suoi estremi .
In effetti la legge parla di obbligo di denuncia, non di sussistenza del reato, per cui qualora vi siano fondati indizi , a prescindere dal fatto che il contribuente venga poi assolto o condannato, il raddoppio opera.
Con il DLgs. 128/2015 , che ha modificato gli artt. 43 del DPR 600/73 e 57 del DPR 633/72, il raddoppio è collegato non più alla mera presenza degli indizi di reato, ma all’invio della denuncia penale entro i termini ordinari di decadenza.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13483/2016 precisa un ulteriore aspetto rilevante:
- ai fini del raddoppio, è del tutto irrilevante la circostanza che, in un momento successivo all’emissione dell’accertamento, la pretesa venga ridotta al di sotto della soglia di punibilità, prevista per il delitto di dichiarazione infedele (art. 4 del DLgs. 74/2000).
- per verificare l’eventuale utilizzo strumentale del raddoppio dei termini, deve effettuare una valutazione ex ante, e non ex post, sulla presenza del fumus di reato.
- non ha quindi rilievo l’assoluzione del contribuente, né, quindi, l’archiviazione del procedimento ad opera del GIP.
In definitiva si può affermare che, di per sé, non bisogna attribuire valore alle successive vicende del processo penale, ma ove l’archiviazione/assoluzione siano basate sulla radicale infondatezza della pretesa, allora il giudice tributario ben può dichiarare nullo l’accertamento per inoperatività del raddoppio.