Settembre sarà il mese decisivo per la web tax: il 29, la riunione Ecofin stabilirà il futuro della tassazione online.
Sarà la web tax, l’imposta attualmente discussa all’Ecofin di Tallin dai big dell’Unione Europea, a risolvere le carenze di gettito fiscale di alcuni Paesi europei tra cui l’Italia? Saranno i colossi del web – Google, Amazon, Facebook, Airbnb, Booking per citare i più influenti – a ridare ossigeno alle economie dei Paesi in cui è maggiormente centrale il tema dell’elusione fiscale, in primis quelli mediterranei che soffrono le conseguenze di sistemi fiscali onerosi? Difficile crederlo. O forse impossibile?
Fronte aziende “Over-the-top”
Le OTT sono da sempre nel mirino dell’Antitrust europeo. Da anni, infatti, Google e colleghi dichiarano la propria residenza fiscale in Paesi a fiscalità attraente, quali Olanda, Lussemburgo e Irlanda. Ma così facendo, le OTT non hanno violato alcuna norma nazionale o sovranazionale. La residenza fiscale corrisponde, infatti, al luogo in cui sorge l’organizzazione stabile di un’impresa, che per le aziende del web è difficilmente verificabile. Inoltre, nel recente passato le multinazionali online hanno aderito ai tax rulings, accordi speciali preventivi in cui gli Stati, anche Europei, hanno garantito alleggerimenti fiscali pur di ottenere un minimo gettito dalle OTT. Tra i più famosi, i rulings firmati tra Olanda e Starbucks, Lussemburgo e FCA, Irlanda ed Apple.
Fronte UE
Germania, Francia, Italia, Spagna, Austria, Bulgaria, Grecia, Slovenia e Lettonia rappresentano i nove Paesi favorevoli all’introduzione della web tax. Ma l’Unione è divisa. Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Cipro e Malta sembrano non voler cedere. E le decisioni in materia di fisco vanno prese all’unanimità. In ogni caso, il 29 settembre si andrà al voto.
II ruolo dell’Italia
L’Italia si sta battendo in prima linea per l’introduzione della web tax. L’Ufficio Parlamentare di bilancio ha ipotizzato tre modalità di web tax, che potrebbe divenire:
1. Un’imposta sul reddito prodotto in Italia, indipendentemente dalla residenza fiscale.
2. Una ritenuta alla fonte, applicata direttamente sulle fatture delle transazioni digitali.
3. Un’imposta commisurata al consumo di beni digitali.
E’ evidente, però, che qualunque dovesse essere la modalità prescelta, in assenza di una coordinazione europea si andrebbe probabilmente incontro a un trasferimento dei costi da parte delle multinazionali del web nei Paesi a fiscalità peggiore, che riuscirebbero così a compensare la tassazione più elevata. L’Italia, dunque, senza la coordinazione dell’Europa non può vincere la sfida della web tax. Nel Belpaese la tassazione del web è di stringente attualità e potrebbe compensare evidenti squilibri fiscali. Per esempio, Google dichiara in Italia lo 0,3% dei propri ricavi complessivi, a fronte del 2,4% di transazioni digitali sul totale. Facebook, lo 0,1% delle entrate contro il 2,8% delle proprie transazioni. La pubblicità online, che in Italia è gestita per il 50% (fetta di mercato da 1,2 mld di euro) da Google e Facebook, è stata in buona parte tassata all’estero dai due player internazionali.